Lasciamo che il sole soffochi da sé lentamente nel diafano e inerte cielo serotino di questo Inferno di quarzo, e che la notte prenda il sopravvento, ma non ci si illuda: sarà una notte che non porterà consiglio, ma solo un pianto amaro e inutile: le lacrime d'acciaio dell'uomo che ha imparato una lezione e ha un insegnamento da impartire; ma quando è ormai troppo tardi, e scopre di aver perso ciò che più era importante ma che quando aveva non ha mai tenuto nella debita considerazione; quando avrebbe potuto invocare la donna amata come un Lare o un Penate nei momenti di peggior scoramento, ed essa sarebbe accorsa al nostro giaciglio sofferente ancor prima di sentire il rumore dei nostri singhiozzi. Il treno, spesso, passa una volta sola nella vita, e se lo si perde, o vi si scende perché stanchi del viaggio anche se sarebbe stato forse il più bello della nostra vita, una seconda occasione non verrà data. Giacerà come una lattina vuota sul bordo delle rotaie, gettata attraverso il finestrino di uno stolido viandante che avrebbe potuto dissetarsi in eterno di quel nettare divino. Come un prezioso orologio automatico dimenticato su una panchina, destinato a fermarsi perché non indossato e ad esser preso da qualcun altro che forse saprà farne maggior cura. Così Orfeo perde la sua Euridice, non perché si volta, ma proprio perché non lo fa, anche se non per indifferenza ma perché come un Don Giovanni ama le venture leggiadre e galanti per paura di una sola cosa: della responsabilità che un amore come quello comportava, e che una pianta non irrigata si secca. Cosa sarebbe successo allora se quel dì fatale di settembre non fossi sceso e non avessi sentito il peso delle sue lacrime di piombo e il suo odore addosso a me, la sua disperazione frammista alla speranza che sarei ritornato sui miei passi quando invece non l'ho fatto... Cosa mi rimane? Quel che ho creduto di volere, compagnie leggere, che è come dire il vuoto intorno e dentro a me. La compagnia contingente di una donna che non amo, e che tra parentesi è quella con cui l'ho umiliata, Lei, l'unica, La Divina Potestà, la Somma Sapienza e il Primo Amore; la solitudine delle luci rutilanti nella notte milanese tra locali à la page e la vetrina del bar dalla quale osservo tutto questo mestamente fumando una sigaretta con l'etere in mano. Ma non ne ingoierò mai abbastanza per soffocare questo dolore. Ecco, ora lei se n'è andata e io non potrò mai dirle, dimostrarle quanto l'ho amata, anzi, che forse è l'unica donna che io abbia mai amato e che mai amerò.
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