LA BIBLIOTECA DI BABELE
  1. Don Abbondio

    AvatarBy orsonwelles il 3 Oct. 2013
     
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    Nell'osservazione di Nietzsche secondo cui la morale cristiana, e in ispecie cattolica, nasconderebbe una fondamentale impotenza di vivere, c'è qualcosa di innegabilmente condivisibile: rinunciare alla vita e ai suoi infiniti affronti e colpi di martello per consacrarsi a un'astrazione, vivere nel grembo materno di una casa curiale e di un tempio dalle solide mura e dalle eleganti architetture; stare alla larga da ogni complicanza e studiare quelle altrui senza farle proprie. In fin dei conti, i Dieci Comandamenti sono massime di buon senso come i detti stoici ed epicurei, con i quali condividono dei comuni denominatori, fra cui la tendenza a limitare il desiderio allo stretto indispensabile, la consapevolezza della caducità dell'esistenza e il conseguente incentivo a mutuare ogni possibilità di rinuncia. Del resto la tenuta - si badi, non veridicità - del pensiero biblico è dimostrata anche da altre esperienze temporalmente e geograficamente distanti ma parallele, come la sumerica Epopea di Gilgamesh o ciò che resta del pensiero orfico o alcuni frammenti presocratici. Che si voglia attribuire o meno a tutti questi scritti una facciata trascendente e rivelatrice è già ermeneutica e perciò deviazione. Resta tuttavia un assioma: nessuna morale, solo senso pratico e totale mancanza di voglia di sobbarcarsi altre noie a quelle che già la vita riserva a iosa, consapevolezza che tutto ciò che ha un inizio giunge ad una fine, che l'arbitrio assoluto non esiste, ma solo ventagli più o meno ampi di scelte, e che a ciascuna di esse corrisponde un nesso di causalità ed effetto, che tutto ciò che è diviene e pertanto è decadimento e corruzione. Se poi dallo sgomento nell'osservare quest'immediatezza, si è voluta cavare l'esistenza di un Ente ingenerato ed eterno, fonte di sospensione del giudizio e imperturbabilità, bontà e benessere, soccorso e riscatto, un Demiurgo Supereroe Impalpabile ma Omni-qualunque-cosa, che salvi e sollevi da ogni piega e da ogni piaga la creatura afflitta, e che governi l'universo tutto con leggi imperscrutabili ma certe, questo è quello che muove il filosofo di Röcken a dire che l'uomo è sostanzialmente incapace di sopportare il peso tragico dell'esistenza, e che non è dato alcun essere al di fuori dell'esistere. Sostanzialmente non gli si può dar torto.
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